I Giapponesi amano bere.
La produzione e il consumo di superalcolici assume dimensioni molto rilevanti e ha anche un significativo impatto sociale.
Arrivati a Takayama siamo entrati a pranzare in una Ramen-ya,il cui proprietario, per hobby, produce una sorta di acquavite.
Fin qui non ci sarebbe niente di strano se non che, a uno sguardo più attento, abbiamo visto che in un contenitore ci saranno state un centinaio di vespe lasciate macerare nell’alcol, in una bottiglia qualche calabrone, in un’altra una vespa samurai e così via.
Avevamo già visto bottiglie di tequila con un serpente dentro e altre amenità del genere. Quindi, anche da questo punto di vista, non era una novità.
La vera novità per noi è stato chiedere al proprietario come mai fare questo tipo di liquore. La risposta ci ha confermato che siamo nel profondo del Giappone.
“Non è per il sapore ma per prendere il ki delle vespe. È molto forte”.
Colpisce questa continua tensione a ricercare una connessione tra se stessi e il mondo circostante. Una relazione che è fisica ma soprattutto a un livello sottile, che interconnette tutto e tutti.
La vespa è solo uno strumento, un mezzo di cui si serve il ki per giungere in contatto con quello delle persone.
E, al di là di trasformare tutto ciò in un bicchiere di acquavite che ti annebbia il cervello, comprendiamo che anche dietro un grappino c’è la medesima ricerca di assoluto che incontriamo in un tempio, in una bottega, su un tatami.